«Un essere umano è parte di un tutto chiamato “universo”, una parte limitata nello spazio e nel tempo. Egli sperimenta se stesso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti come qualcosa di separato dal resto: una specie di illusione ottica della coscienza…. Il nostro traguardo consiste nel liberarci da questa prigione, allargando la nostra compassione fino ad abbracciare tutte le creature viventi e tutta la natura nella sua bellezza…. Ci occorrerà un modo di pensare sostanzialmente nuovo se l’umanità vorrà sopravvivere ed evolversi verso livelli superiori» Albert Einstein
Come la tradizione spirituale Andina è arrivata a noi oggi?
Nel 1955 John H.Rowe (antropologo e archeologo statunitense) pubblicò l’articolo :” Il movimento nazionale Inca del XVIII secolo” che stravolse quanto sino ad allora era conosciuto della storia del Perù. Fino a quel momento, infatti, si era considerato che la conquista spagnola del Sud America avesse cancellato la civiltà incaica ed introdotto in Perù una cultura fortemente occidentalizzata.
Rowe fa notare nel suo lavoro che, anche in epoca coloniale in Perù convivevano due comunità : gli spagnoli e gli indigeni, entrambi con il proprio sistema culturale ma che fino a quel momento la storia, scritta dai vincitori, aveva tenuto in considerazione solo la comunità spagnola.
Esprimendo l’intenzione di emendare questa “dimenticanza” J.H.Rowe, a seguito di un lungo lavoro di ricerca, cercò di ristabilire una valutazione più obiettiva della storia stessa del Perù. I punti centrali del suo lavoro sono:
a) Il governo spagnolo del XVI secolo, dopo la conquista, mantenne sostanzialmente inalterato il sistema di giurisdizione amministrativa dello stato pre-ispanico, dando l’incarico di amministrare le singole regioni ad alcuni “capi tribù”, cioè a coloro che già in precedenza assolvevano a questa funzione; ovviamente questi amministratori erano sotto il controllo diretto dei conquistatori.
b) Nel 1616 l’ordine della “Compagnia di Gesù”, ottenne dai sovrani di Spagna, l’incarico di istruire e formare i figli della nobiltà in appositi collegi, ottenendo altresì di gestire queste istituzioni. L’educazione e l’istruzione che la nobiltà inca ricevette in questo periodo fornì loro un importante bagaglio culturale, e poichè nel programma di studi veniva inclusa anche la storia del popolo inca, nel giro di tre generazioni si produsse una classe nobile che aveva recuperato storicamente l’orgoglio e la dignità incaica e che, allo stesso tempo, aveva acquisito la capacità di gestire alcuni aspetti fondamentali dell’Occidente, come quello della scrittura, quello legislativo ,quello del sistema coloniale e alcuni aspetti del Cristianesimo. I fattori citati, combinati tra loro, produssero un sistema nobiliare incaico dello stesso livello di quello spagnolo.
Il regno dei Borbone salì al potere all’inizio del XVIII e a differenza del precedente degli Asburgo, fu di tipo assolutista e tentò di imporsi alla popolazione indigena senza rispetto della tradizione, degli usi e dei costumi di quest’ultima. La nobilà neo-incaica riscostituita non accettò tal tipo di potere e , appoggiata dal popolo indigeno, costituì il “Movimento Nazionale Inca del XVIII sec.” che aveva come obiettivo l’indipendenza dal governo spagnolo. Vi furono una serie di sollevazioni popolari che terminarono con la famosa rivolta del 1780 guidata da Josè Gabriel Thupaq Amaru, a seguito della quale il governo spagnolo si adoperò con ogni mezzo per distruggere tutti quegli elementi che avrebbero mantenuto vivo l’orgoglio della tradizione e della cultura inca, come ad esempio i libri relativi alle cronache del XVI secolo. Venne così eliminata quell’elite inca che aveva mantenuto integro il sistema culturale originale. L’estrema capacità della cultura andina di integrare contenuti provenienti dall’esterno ci viene sottolineata da un fatto importante avvenuto a seguito dell’evento prodotto dal “Movimento Nazionale Inca del XVIII secolo”. Una delle punizioni riservate ai ribelli era quella di essere scomunicati dalla chiesa cattolica e di essere privati dei relativi sacramenti. Come, a mio avviso giustamente, don Juan Nunez del Prado suggerisce nel suo articolo ” El regreso del Inca – De la colonia a la globalidad”….”non si penalizza nessuno privandolo di qualcosa che sia per lui necessario o desiderabile; si può dare quindi per scontato che le pratiche cattoliche erano divenute una parte importante della cultura degli insorti. Questa apertura all’integrazione è una delle caratteristiche fondamentali della cultura andina, pertanto non può non essere un tratto distintivo anche della relativa tradizione spirituale.
Nel 1955, mentre John Rowe si apprestava a rivedere storicamente il corso della storia Inca, due antropologi peruviani Oscar Nunez del Prado ed Efrain Morote, organizzarono una spedizione in una zona relativamente isolata del paese, l’attuale Nazione Q’ero e scoprirono l’esistenza di un gruppo di indigeni andini che continuava a mantenere vive molte delle tradizioni incas…abiti, tecniche di tessitura dei tessuti, cosmologia e utilizzo del “Quipus”, i registri nei quali venivano annotati i dati relativi all’impero durante il XVI secolo. Uno dei dati più interessanti fu la scoperta che questo gruppo di indigeni aveva miti. Avevano infatti conservato la prima versione del mito di Incari e Qollari, che ora è meglio noto come “Il ritorno dell’Inca”. Il suddetto mito si riferisce alla fondazione della civiltà inca; sostanzialmente risulta essere equivalente a quanto riportato dai cronisti del XVI secolo e daterebbe la fondazione di questa civiltà già agli inizi del IX secolo. Il fatto che un gruppo di indigeni illetterati di una zona assolutamente isolata (dai 4200 ai 5200 mt. sulle Ande del Perù) avesse tramandato oralmente questo mito, dimostrava che la memoria collettiva andina risalirebbe a 900 anni prima, cioè al 1050 circa. Gli stessi Q’ero si considerano non solo Incas ma soprattutto discendenti diretti della coppia fondatrice dell’impero. La coscienza dell’appartenenza alla cultura inca non solo era sopravvissuta fino al XVIII secolo, ma era arrivata fino ai giorni nostri grazie ad un insieme di 8 comunità, circa 6.000 persone, che attualmente costituiscono la Nazione Q’ero.
Nel 1968 Juan Nunez del Prado (figlio di Oscar Nunez del Prado), stava portando a termine i suoi studi in antropologia e la conclusione prevedeva un lavoro di ricerca sul campo che consisteva nello studio della struttura politica di una comunità di indigeni andini vicino a Pisaq, in un luogo sacro che si chiama Cotobamba (Valle Sacra – Cusco – Perù). Ciò che Don Juan scoprì durante il suo lavoro di ricerca fu che ogni risposta di questa comunità si rifaceva sempre, in ultima istanza, ad un’argomentazione di natura spirituale. I suoi studi si allargarono anche ad altre comunità e ciò che rinvenne fu che questa gente aveva assimilato le immagini cristiane ( Gesù, Maria ), ma intorno a queste immagini centrali del culto avevano inserito anche esseri soprannaturali che nulla avevano a che fare con il cristianesimo cattolico occidentale: esseri come la Pacha Mama (madre terra), gli Apu (le montagne sacre), i Mallki ( gli alberi) etc.. Si trattava quindi di un cristianesimo fusosi con una tradizione che in America era ovviamente più antica del cristianesimo. Il sistema di credenze era abbastanza coerente ed uniforme, ma come aveva fatto a rimanere tale nel tempo senza scrittura? Si scopri successivamente che il sistema di credenze era mantenuto e tramandato grazie ad un sistema di “sacerdoti andini” detti PAQOS (praticanti dell’Arte Spirituale Andina). All’epoca questi PAQOS erano 70, numero molto significativo perchè era superiore alla quantità di sacerdoti cattolici e pastori protestanti messi insieme, presenti nella Valle del Cusco. Don Juan scoprì successivamente che questi specialisti erano organizzati gerarchicamente in quattro livelli che prevedevano una specifica formazione e iniziazione per ognuno, andando così ben oltre allo sciamanesimo. Fu così che nei suoi studi Don Juan incontrò prima Don Benito Qoriwaman, il più grande guaritore della Valle del Cusco, di cui divenne assistente per oltre 10 anni, Don Melchorre Deza di Wasau da cui apprese il lato sinistro della tradizione (lloque). Successivamente lavorò con altri importanti Maestri di Q’ero Don Andres Espinoza, Don Mariano Apaza, Don Manuel Quispe, Don Manuerl Espinoza. In un lavoro di più di 30 anni su è giù per le Ande, Don Juan recuperò gli insegnamenti che oggi diffonde negli Stati Uniti e in Europa e nello specifico in Italia con la fondazione dell’associazione Tawantin che opera ad oggi su tutto il territorio.